Speciali Montagna
06/11/2004 Monte Camicia.
Partecipanti: GIULIO, PAOLO, LEONARDO, DORINA, SEBASTIEN.
Dislivello: 900m circa
Difficoltà: E
Tempo di Percorrenza: 3h

 

 

Il lungo e insolito prolungamento dell'estate che, a causa di alte pressioni e venti meridionali, ha caratterizzato quasi tutto il mese di ottobre e i primissimi giorni di novembre è agli sgoccioli. Le previsioni danno infatti in arrivo una perturbazione da NE seguita da aria fredda che dovrebbe far calare di molto le temperature e portare anche la neve sulle montagne a quote medie. Per noi è un invito a nozze, e così sabato 6 novembre decidiamo di tentare il Camicia dalla Vetica, con il tempo che da bello la mattina dovrebbe volgere al brutto e freddo dal pomeriggio.

Così eccoci al parcheggio alla base del Camicia nella parte finale di Campo Imperatore, a 1632m. Il tempo è bello e caldo, senza un alito di vento, ed è difficile credere che di lì a poche ore sui prati giallognoli e i larici dorati potrebbe esserci una bella coperta immacolata. Prendiamo il sentiero ben segnato che in leggera salita si dirige tra gli abeti bassi e contorti per i colpi delle valanghe verso il Vallone di Vradda, che si insinua tra il Camicia, che con la sua punta rocciosa si staglia davanti a noi, e la cresta aguzza che segna il limite superiore della terrificante parete nord del così detto “Eiger dell'Appennino”.


La rocciosa vetta del Camicia emerge tra i larici gialli e gli abeti sempreverdi.


Il primo tratto è abbastanza noioso, ed il caldo opprimente non favorisce l'andatura, che risulta abbastanza fiacca e affannata. Lasciati gli ultimi larici dorati e abeti solitari saliamo più ripidamente con varie svolte, distratti unicamente dalla vista verso la piana di Campo Imperatore, che appare via via più ampia nell'atmosfera autunnale dei pascoli gialli. Unico segno del tempo che cambia sembra essere il mare di nubi che da NE, dalla zona del Vado di Sole, cerca di invadere, senza riuscirci, la piana. Un po' affannati arriviamo ad un ripiano a quota 2000 circa. Qualche nuvola bassa inizia a coprire la vetta, e contemporaneamente si sta alzando anche un po' di vento fresco che ci da sollievo. Dal ripiano il sentiero entra decisamente nel Vallone di Vradda con una lunga diagonale, sovrastato a dx dal ripido pendio del Tremoggia, puntando decisamente verso la cresta rocciosa al di là della quale chi non ci è mai stato non può immaginare quale baratro infernale ci aspetta.


Il crestone della parete nord nella sua immagine più rappresentativa. Sotto il mare di nubi sale verso l'alto come una coperta.


Notando con sorpresa alcune chiazzette di neve residua dell'irruzione fredda di fine settembre, procediamo tranquillamente, con la nebbia e il vento che vanno aumentando. Procediamo lungamente in salita sostenuta sperando che la nebbia non cali troppo e finalmente arriviamo al punto in cui il sentiero lambisce la cresta rocciosa, che con un paio di saliscendi segnati da due cimette aguzze si trova a pochi metri alla nostra destra. L'affaccio è d'obbligo, così andiamo sul bordo con le macchinette pronte allo scatto, ma quello che scatta immediatamente sono le esclamazioni di sorpresa per lo spettacolo che ci si para davanti. Il pendio erboso che abbiamo percorso si trasforma all'improvviso in una parete rocciosa verticale di cui non si vede la fine.


Affacciati sul bordo del paretone cercando di contenere l'emozione. Com'è piccolo l'uomo di fronte alla grandezza della natura.


Lo stacco è così netto da lasciare senza fiato e dà una sensazione di vertigine, mentre lo sguardo vaga disorientato nel tentativo di abbracciare per intero la voragine che gli si presenta. L'impresa è ardua per la vastità della parete, così si può solo girare la testa di qua e di là, da una parete all'altra, e poi guardare giù verso il punto in cui, per fortuna, le rocce aguzze e contorte si tuffano nel mare di nubi che copre per intero la base della montagna e tutta la campagna verso l'Adriatico. Superato il primo momento di sorpresa ci trasformiamo in un gruppetto di giapponesi, e con una digitale a testa eccoci tutti presi dagli scatti ai soggetti più vari: le rocce, le chiazze di neve residua incastrate tra canalini quasi verticali, le nuvole che salgono turbinando dal W, la tavola di nebbia a est. Quando finalmente ci rendiamo conto che è impossibile con un misero obiettivo fissare la meraviglia della Montagna sono stati scattati decine di fotogrammi, ed è ora di riprendere il cammino verso la vetta ormai vicina.


In discesa lungo il crestone facciamo la conoscenza di altri tre camosci, abbastanza felici di lasciarsi fotografare.


Così calchiamo di nuovo il sentiero che, dopo una selletta che regala altre esclamazioni di meraviglia, sale ripido l'ultima rampa fino alla vetta, a cui giungiamo dopo un piccolo tratto di crestina sommitale. La permanenza al cospetto della croce di vetta è lunga ma poco produttiva, perché la nebbia, salvo pochi attimi, non si schioda. Il vento è abbastanza forte, la temperatura è di 5,2°C. Così dopo gli autoscatti di rito prendiamo la via della discesa, ma le sorprese non sono finite. Dalla crestina sommatale vediamo subito un camoscio che bruca più in basso l'erba secca. Non sembra molto spaventato e si presta ad una nuova valanga di scatti. Poi lo perdiamo nella nebbia mentre scendiamo nuovamente all'affaccio della cresta. Per tornare decidiamo di percorrere tutta la cresta fino al Tremoggia, per poi raggiungere con un altro sentiero la macchina.


La parte finale della cresta, ormai larga ed erbosa, ci conduce verso la fine dell'escursione.


Così iniziamo risalendo l'aguzza cimetta che segna il culmine della cresta, fermandoci frequentemente a svuotare la macchinetta e a riempire il nostro spirito della grandezza della natura. La nebbia si affievolisce, mentre il mare di nubi si illumina della luce del sole. Dietro una guglia rocciosa appaiono altri tre camosci che ci osservano tranquilli stagliandosi sullo sfondo delle montagne. Spremiamo le macchinette fino all'ultimo fotogramma mentre i tre ci regalano pose memorabili. Poi riprendiamo la discesa lungo la cresta, che si fa più larga ed erbosa, tocca il Tremoggia, e poi scende verso una sella. Il sole è ormai avviato verso il tramonto, così ci affrettiamo scendendo per prati via vvia più verdi verso la Fonte Vetica che ci aspetta evidente alla base del pendio. Arriviamo alla macchina con le ultime luci, il brutto non è ancora arrivato e un po' ci dispiace, ma è stata una bellissima escursione.